30 ottobre 2009

Con questi esempi...

L'attenzione nelle Aule non sembra una priorità:

25 ottobre 2009

Non si torna indietro

La vecchia scuola non c'è più, quella nuova è ancora lontana: si torna all'istruzione come privilegio dei benestanti.

I problemi sono sostanzialmente due: la scuola di base e la scuola di formazione.

La prima ha cessato di esistere nella forma che conosciamo.

Un tempo la scuola di base forniva conoscenze (oggi si parla di competenze) che servivano per diventare cittadini consapevoli con una base di preparazione culturale che definirei "adeguata" cioé corrispondente al livello collettivamente considerato "soddisfacente". Ora quel livello è assunto come "minimo" e "sufficiente". Ci si aspetta cioé che la scuola di base insegni a leggere, scrivere e fare di conto. Il resto è definito "traguardo di apprendimento" e come tutti i traguardi non è detto che debba essere tagliato. Dunque è un "di più". La scuola di base non è più il luogo di crescita culturale che permette di avere qualche genere di affermazione sociale. Ora il progresso sociale si raggiunge con le opportunità offerte dalla famiglia: giochi istruttivi fin da piccoli, internet, genitori che orientano alla visione di buoni documentari, che portano alle mostre ed a visitare città e luoghi d'arte e di storia, viaggi all'estero, che offrono buone letture, teatro, iscrizioni a gruppi e club che producono cultura, scambi con coetanei, stage all'estero... Siamo tornati al "prima della scuola pubblica". Quando i signori potevano permettersi una formazione vincente per i loro figli. In una classe che mediamente non comprende comunicazioni semplici in lingua italiana... cosa si può fare di più?
Si può fare solo ed esclusivamente EDUCAZIONE cioé formazione umana e civile: per i contenuti ci si può accontentare.

Diversa è la questione per le superiori. La scelta è stata quella di ridurre le ore, le specializzazioni, i laboratori.
i paesi emergenti tengono invece a scuola i ragazzi dalla mattina alla sera e gli "fanno un [U10 'tanto" mantenendo una pesante selezione: chi non tiene il ritmo è fuori. Ed essere fuori significa per un ragazzo cinese, indiano, malese... rinunciare ad una vita migliore. Da noi tenere il ritmo significa seguire un percorso fatto di formazione superiore, università, specializzazione, master... precariato.

Da questa condizione si può uscire con un cambiamento politico e sociale epocale, che non valorizzi più il profitto ed il consumo, ma che inventi una nuova "economia sostenibile" fatta di servizi, non fondata sul consumo di risorse non rinnovabili (combustibili fossili, metalli ecc...). Invece qui si discute sulla ripresa fondata sul CONSUMO: esattamente la causa del disastro economico e sociale post-industriale. Rilanciare il consumo, alzare il PIL... mentre invece il pil va abbassato perché è necessario produrre benessere e non benavere e benconsumare.

La crisi della scuola è semplice specchio della crisi globale. La mia opinione personale è che bisogna raggiungere un punto di svolta che comporti una nuova consapevolezza culturale, economica e sociale. Invece si sta tentando di fare ripartire un motore che ha ormai concluso il suo ciclo storico. Fose ci vorranno 10 anni, forse venti... solo DOPO saremo pronti a inventare una nuova scuola.

Nel frattempo gli eroi partono per l'Africa.

... ma io sono un modello fuori produzione del secolo scorso.
Ho deciso di cambiare terreno e gioco.

La soluzione immediata di sopravvivenza per le famiglie è:
a) la scuola per socializzare
b) la famiglia per formarsi.

Un tempo la scuola forniva le opportunità di socializzazione e formazione in modo integrato.
Non è più così. Ci piaccia o no.

21 ottobre 2009

La fine del Diritto

Diritto ed Economia.

Che fine fa?
S P A R I S C E sostanzialmente da tutto il panorama in cui si articolano i licei.
Rimane solo nel liceo delle scienze umane MA NON IN TUTTO!
SOLO se si sceglie l'opzione economico sociale.
Cancellare lo studio dell'economia nel liceo ad indirizzo economico sarebbe infatti parso una bizzarria eccessiva.
Due ore: và! ... esageriamo!

Quando si decise di intervenire con i risultati che vediamo sulla scuola, gli insegnanti delle discipline da sacrificare vennero indirizzati alla frequenza di corsi di riconversione. In questo modo, oltre all'abilitazione in Educazione Tecnica sono ora in possesso di una abilitazione per l'insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche.
Opportunità mai sfruttata per anni ed anni... praticamente impossibile ottenere una cattedra.
Ora la faccenda si chiude definitivamente: basta con l'insegnamento di questa disciplina, così marginale e demodé.
Meno male che vado in pensione... forse.

[Qui, materia per materia, le tabelle orario dei nuovi licei]

la musica è finita... gli amici se ne vanno... e tu...

Composizione di Franco Califano, canta Mina, decreta Gelmini.
Finalmente noti i quadri orari per le scuole superiori.
Musica rimane solo nei licei musicali, due in Lombardia, forse a Milano ed a Brescia.

Del resto... cosa c'è da cantare?

[Qui la fonte]

19 ottobre 2009

Senza parole

Devo ammetterlo.
Non riesco più a scrivere post sulla situazione della scuola.
Non che non ci sia nulla di cui scrivere... anzi!
Lo sconforto ha preso il sopravvento. Non credevo che ciò avrebbe mai potuto verificarsi.
I recenti interventi normativi hanno ormai chiuso con la storia della scuola così come l'ho conosciuta per quasi quarant'anni.
Non mi sembra però che sia nato qualcosa di veramente innovativo.
L'impressione è che il passato, nel bene e nel male, è ormai strangolato, mentre il futuro è semplicemente annunciato a colpi di comunicati e conferenze stampa.

I fatti sono quelli con cui facciamo i conti ogni giorno.
La mia scuola non può nemmeno permettersi il lusso di comprare poche cose che servirebbero per la normale manutenzione. La proclamata valorizzazione del merito si traduce nel mancato pagamento della remunerazione alle "funzioni obiettivo" (dello scorso anno scolastico!).

Sono stato contattato da una giovane ricercatrice di Roma, incaricata di un importante progetto didattico. Aveva la necessità di recuperare materiali di normalissima disponibilità per un operatore del settore. Era evidente che poteva essere definita come "sprovveduta".
Le ho scritto che avevo proprio il pallone che serviva a lei ma che non lo avrei concesso per starmene fuori campo a veder giocare gli altri. Ovviamente non ho più avuto risposta.

Le nuove indicazioni nazionali (programmi scolastici) vengono elaborati nascostamente con la consegna del segreto.

Ecco la domanda numero nove da "le Dieci Domande alla Gelmini"...

9. Lei non pensa che i programmi, i curricoli, i progetti più significativi per elevare la qualità culturale della nostra scuola dovrebbero essere il frutto di una elaborazione condivisa, trasparente, qualificata, in dialogo permanente con le comunità scientifiche, professionali, il mondo della scuola? Lei sa che di molti gruppi, commissioni di studio, consulenti, “esperti” che operano per progettare il futuro della scuola non è dato di sapere nome, qualifica, provenienza?

La condizione di delusione, frustrazione e disarmata rassegnazione a cui sembrano condannati docenti di lungo corso e precari è drammatica.

Il passato appare irrimediabilmente demolito, tanto in ciò che andava certamente cambiato quanto in ciò che funzionava.
Il futuro appare in balia di fumose promesse ed improvvisazione.

Ho sempre detto alle ragazze ed ai ragazzi delle mie classi che faccio l'insegnante per divertirmi.
Loro continuano a divertirmi, ma questa scuola mi sta lasciando senza parole mentre sento lo sconforto crescere.

05 ottobre 2009

Siamo tutti Sorelle e Fratelli di Serendipity

Questo blog si occupa essenzialmente di educazione nel nostro mondo tecnologico.
Al centro di tutto rimaniamo comunque noi esseri umani, con la nostra forza e con la nostra fragilità.
Così non c’è tecnica che tenga, al cospetto del cuore.

Ho perciò deciso di condividere con i miei tre lettori tutta la profondità delle emozioni di un post che è stato recentemente scelto come “Miglior Post del 2009” (Macchianera Blog Awards 2009).
Non sono riuscito a sapere nulla dell’Autrice che si cela dietro allo pseudonimo di [serendipity].

Ho imparato che “serendipity” è l’attitudine a trovare e riconoscere, in modo sorprendentemente felice ed improvviso, qualcosa di inatteso ed importante che nulla ha a che vedere con quanto si andava cercando e che ci si proponeva di trovare.

Nulla di più appropriato!
Nella voragine di una confidenza suprema d’amore e di morte, ho potuto scoprire la luce del senso della vita e trovare qualche cenno di risposta alle eterne strazianti domande di sempre.

Il post originale si intitola:
19 marzo, la festa di mio papa’. Un post che nessuno leggerà fino in fondo. Peccato
In effetti è un post che difficilmente si riesce a leggere fino in fondo.
Te ne accorgi quando leggi parole che ti rendono difficile respirare senza che il petto sussulti. Poi gli occhi cominciano a bagnarsi e diventa difficile proseguire perché la lettura diventa decisamente troppo liquida.

Arrivare in fondo è una sfida perché “lì dentro ci sei tu” … e te ne accorgi dai sintomi insopprimibili della commozione più incontrollabile.

Io non sono ancora riuscito a leggere interamente il post di “serendipity”.
Non sono ancora pronto per sopportarlo tutto insieme.
Debbo prenderlo a piccole dosi, un po’ per volta, proprio come suggerisce il blog collettivo su cui è comparso: CLORIDRATO DI SVILUPPINA.

Intanto… GRAZIE, serendipity.
Sei riuscita a dare parole e coscienza a chi si è trovato fratello e sorella con te.
Grazie anche a tutti quelli che hanno commentato questo post.
Stringerci insieme per capire il senso della morte ci aiuta tutti a crescere nella fiducia della vita.

Infine…
… se hai resistito fino a qui.
Se hai il cuore forte, tempo e fazzoletti a portata di mano…

Eccoti il posto originale di “serendipity”.

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19 marzo, la festa di mio papa
Un post che nessuno leggerà fino in fondo. Peccato

Eccoci qua. Esattamente un anno fa morivi, papà.
Oggi ho rivissuto tutto quel giorno. La mamma che mi chiama e mi dice che non ti muovi più, Simone che corre a casa, io che imbocco l’autostrada sperando che non sia vero. Le due ore di macchina peggiori della mia vita. Poi arrivo in ospedale e un infermiere lascia aperta la porta della sala emergenza. Io ti vedo urlare, con i medici che si accaniscono su di te facendoti soffrire. Mi faccio coraggio e ti urlo “Papà, papà… sono qui! Non ti preoccupare papà, andrà tutto bene!”. Un medico alza la testa e mi guarda. Capisce che non c’è bisogno di sgridarmi. Lo sa che non avrò grandi occasioni per dirti altro. Tu ti calmi. L’hai sentita la mia voce. Il medico mi guarda come per dire “è tranquillo adesso” e chiude la porta. 5 minuti dopo ti portavano in rianimazione. La mamma si è attaccata alla barella disperata. Io l’ho strattonata e l’ho cacciata via, con odio. Perché tu eri mio e volevo starti vicino io. Scusa, è stato un gesto bruttissimo. Però te l’ho sentito dire. Ti ho sentito dire “Ile… Ile…”. Sono state le ultime parole che hai detto. Le tue ultime parole sono stata io. Mi dispiace per la mamma, ma a me aiuta molto ripensarci.

Alle 8 di sera la telefonata. Ero in casa, sul divano. Ero preparata. Ho riattaccato e ho portato la mamma all’ospedale. Eravamo sole come due cani. Quando ti ho visto, mi sei sembrato così lontano. Tutto fasciato come una mummia. Non sapevo che dopo la rianimazione fasciassero così. E’ bruttissimo. Non hai neanche un corpo da abbracciare, niente. Meno male che ti ho abbracciato al pomeriggio. Eri caldissimo, scottavi. Mi hanno detto che avevi oltre 42 di febbre. Non parlavi più. Non hai potuto dirmi niente. Io invece ti ho detto tutto, compreso che eri l’uomo della mia vita e che ti amavo tantissimo. L’infermiera continuava a dirmi di parlare perché tu sentivi. Hai sentito papà? Dimmi di sì, perché ti ho detto veramente tutto in quei minuti. C’era anche il mio naso rosso appeso al muro della rianimazione. L’avevano tenuto perché speravo ti portasse fortuna. Te ne ha portata, papà? C’è qualcosa che può portare fortuna mentre si muore?

Questo anno è stato uno schifo. Ok, non si dice schifo. Questo anno è stato duro. Chi mi rincontra dopo un po’ di tempo mi guarda e mi dice “come sei… signora!”. Credo che vogliano dire che sono invecchiata. In effetti in questo anno mi sembra che me ne siano piovuti addosso 10. Me li sento tutti sulle spalle. La mamma da tirare su, la depressione, la difficoltà di alzarsi tutte le mattine col dolore. Però la mamma è bravissima, si fa forza più di me. Io i primi tempi ero arrabbiata, furiosa. E mi succedeva che odiavo le mie amiche che hanno il papà. Non è giusto, lo so, ma non potevo farne a meno. A me sembra cattivo che le altre abbiano il papà e io no. Non dovevi morire tu. Ci sono tanti stronzi al mondo, perché non loro? Sì ok, non si augura la morte a nessuno. E non si dice stronzo. Però che le altre avessero un padre a me non stava bene. Adesso questa cosa l’ho superata, ma ogni tanto torna su. Sono anche diventata ansiosa. Ho paura di perdere le persone che amo e sono apprensiva con la mamma. No… non è lei apprensiva con me. E’ il contrario. E’ che ho paura di perdere anche lei, ho paura che si ammali e muoia come hai fatto te. E allora le sto sempre addosso. Pensa: andiamo d’accordo. Giuro! No, non sto dicendo una balla tanto per farti stare tranquillo: io e la mamma non litighiamo più. Oddio, ogni tanto succede perché esagera, però mi sono messa d’impegno e sopporto. Anche lei sopporta me ma io sono meno pesante. Comunque insomma, adesso vedo malattie un po’ dappertutto. E riverso le mie paure sulla mamma, su Simone e su me stessa. Spero che passerà, ma non credo che ci vorrà poco tempo.

Al lavoro tutto bene. Papà, sono stata bravissima: non mi sono mai fatta compatire. Non sono mai scoppiata a piangere, non ho fatto scene, non mi sono dimostrata triste. Solo una volta sono scoppiata ma Ludovico mi ha fatto ridere subito e mi è passata. Comunque mi ha visto solo lui. Anche al funerale non ho fatto scene: sapevo che tu odi vedermi piangere e mi sono trattenuta. Solo che mi danno fastidio le persone che vengono ai funerali e ti piangono in faccia. Ma cazzo, già tu sei triste e poi uno ti piange davanti? Ma trattieniti cazzo, sennò io come faccio? Sì ok, ho detto due volte cazzo. Tre con questa. Però anche tu tiravi un sacco di bestemmie, eh. Ah, ho iniziato a bestemmiare anch’io. No, non in mezzo alla gente. Solo in casa. Quando proprio non ne posso più, ne tiro una. Mi fa stare d’un bene… ok, prometto: d’ora in avanti ne dirò poche. No, che non ne dirò neanche una non posso promettertelo. Tra l’altro dopo che sei morto sono entrata ancora più in crisi con dio. Perché se non esiste, come penso, vuol dire che non esisti neanche tu. Che non sei un angelo, uno spirito, una presenza, niente. Se dio non c’è, tu sei finito quel giorno nella rianimazione dell’ospedale. Se invece dio c’è, tu sei qualcosa e io dovrei sentirti. Ma papà… non so come dirtelo… io non ti sento. Quindi o tu non sei bravo a dare segni o ritorniamo al punto che dio non c’è. Non so, hai idee a riguardo? In ogni caso, se ci sei, fatti sentire meglio perché spesso ho bisogno di te e dico “se ci fosse papà…”. Comunque, per tranquillizzarti, ti dirò che: quando affetto il salame sto attenta a non tagliarmi le dita; che uso i cacciaviti a stella quando ci vogliono i cacciaviti a stella; che ho aggiustato la cassetta del water alla mamma, ho siliconato le piastrelle della cucina e sterminato degli scarafaggi. Quando riparo qualcosa, però, il solo rovistare nei tuoi attrezzi mi fa stare da cane. Poi penso che tu saresti stato orgogliosissimo di vedermi fare il manovale e allora mi passa subito.

Ho pagato il muratore del tetto. Non so quanto avevate concordato di prezzo, mi sono fidata di lui. Se mi ha imbrogliato, spero che gli venga qualcosa di brutto. Uffa, lo so che non si augura il male, l’hai già detto. A Natale ho regalato a tutti delle bottiglie di vino col tuo nome sopra: il vino Rizieri. Volevo che brindassero tutti alla tua salute. Fa ridere, no? Brindare alla salute di un morto che è morto di mieloma? Ok, scusa, non si scherza su queste cose. Scusa. Ho detto scusaaaaaaa.

E che altro? Ce ne sarebbero di cose da dire ma le principali te le ho dette. Sai, il giorno dopo che sei morto, alla camera ardente, stavo proprio male. E non c’è stato uno straccio di nessuno che abbia saputo comportarsi. Solo Simone. A un certo momento mi ha preso di forza e mi trascinato fuori, al sole. C’era il sole quel giorno lì. E insomma, mi ha tenuto le mani e mi ha detto che te ne eri andato perché eri a posto. Perché sentivi che nella tua vita avevi fatto tutto e assicurato il futuro a tutti. Che sapevi che io me la sarei cavata. Subito ho pensato che aveva ragione e mi sono sentita meglio. E ho pensato che di tutte le persone che mi erano passate davanti, lui è stato l’unico a capirmi davvero. E quindi, insomma, ho sposato davvero una gran persona. Poi però ho pensato che se anche rimanevi ancora un po’ a fare delle cose, a me non dispiaceva affatto. Non so se ti ho dato l’impressione di essere in gamba e autosufficiente, ma io ho ancora un bisogno di te… ma non è vero papà che adesso ho mio marito. Tu hai ancora questa idea maschilista del cazzo che se una si sposa poi deve pensare solo a suo marito. Ok, basta dire cazzo. Papà… se una si sposa a suo padre gli vuole ancora bene. Forse anche di più, perché capisce molte cose. Io e te non ci siamo mai detti “ti voglio bene”. Ci ho pensato. Non ce lo siamo mai detti. Ma ci amavamo tantissimo. Il giorno che mi sono sposata non mi hai neanche detto che ero bella. Eppure la mamma mi ha raccontato che hai pianto tutto il tempo della cerimonia. Ah-ha! Scoperto! Tu non hai pianto neanche quando è morto il nonno, mai avrei detto che avresti pianto di gioia. Ti ho visto piangere solo quando stavi male perché capivi che stavi per andartene. Tra l’altro volevo chiederti una cosa. Qualche giorno dopo che sei morto ho visto la Luciana al cimitero. La Luciana la tua amica. Mi ha detto che la sera prima di morire, a mezzanotte, l’hai chiamata e le hai detto “non sto bene… ciao”. E hai messo giù. Ma papà… perché non hai chiamato me? Perché se lo sapevi non hai chiamato me? Sarei tornata a casa e ti sarei stata vicina. Perché papà? Non volevi che venissi a casa di notte? Volevi fare il papà fino alla fine, eh? Grazie. Però.. vabbeh, scelta tua. Allora grazie, ho capito.

A me dispiace se non ho fatto tutto il possibile per salvarti. Per tanto tempo mi sono chiesta se ho sbagliato qualcosa. I primi tempi avevo paura di aver sbagliato qualche medicina e di averti fatto morire io. Poi mi sono detta “ma dai, con tutti i dottori che ha visto, non può essere stata colpa mia!”. Eppure, quando torno a casa in macchina in silenzio o quando spengo la luce prima di dormire, penso che sia stata colpa mia. Penso di aver sbagliato qualcosa e di averti ucciso. Papà, ti scongiuro, dimmi di no. Oddio, spero di non averti ucciso. Lo spero. Oddio.

Papà, provo ad andare avanti. Quando vedo un muratore che fa qualcosa, mi fermo a guardare. E penso a cosa avresti detto tu. Quasi sicuramente avresti detto che non capisce niente. E che non sapeva fare il suo mestiere. Pensa che ho sempre creduto che tu il muratore l’avessi fatto per necessità. E poi quel giorno che ti ho portato a fare le flebo mi hai detto che l’avevi scelto. Perché volevi stare all’aria aperta. Che un lavoro chiuso in una stanza ti faceva diventare matto. Mi sono sentita orgogliosa come poche. Mio padre ha scelto di fare il muratore. Mi sembra una cosa bellissima. Come quella cosa che dicevi… che andavi alla domenica a vedere i cantieri per essere sicuro che al lunedì si cominciasse bene. E che questo alla mamma non l’hai mai detto. Mi piacciono i segreti, quelli miei e tuoi. E mi piace che molta gente viva in una casa fatta da te. Anch’io vorrei vivere in una casa fatta da te.

Papà, vado a fare da cena. Sì… sììììì, lo faccio mangiare bene Simone. Ma son diventata brava a cucinare, sai? Faccio anche la sfoglia. Davvero, non ridere. No, non ci vengono i buchi. Anche la mamma non ci credeva invece ha dovuto ricredersi. Che dire ancora? Mi manchi. Ti penso sempre. Mi chiedo se ci sei, se mi guardi, se mi proteggi. E la risposta è che non lo saprò mai. Perché c’è quella cosa che non so se esiste dio. Comunque io in dio non ci credo. Però credo a una scrittrice che ha detto una cosa molto bella. A lei è morta una figlia di una brutta malattia e ha scritto un libro dedicandole una specie di lettera lunghissima.

Ecco, lei dice “non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo”. Papà, io e te staremo insieme per sempre.

[serendipity]