28 dicembre 2009

Auto elettrica cinese a meno di 1000 dollari

Compito per le vacanze:
provare a trarre qualche conclusione di carattere economico-politico-sociale.

12 dicembre 2009

Arrivano le LIM e chiudono i Laboratori d'Informatica

L'introduzione delle LIM ha reso euforici molti colleghi che si sono lasciati rapidamente convincere che tale strumento poteva magicamente rendere informatizzata e moderna ogni scuola.
Il ministro ha così raccolto lodi che lo definiscono lungimirante ed avanzato.
Purtroppo, a mio parere, le cose non stanno esattamente così.
È vero che nel corrente anno scolastico, nella secondaria di I grado, sono state assegnate le LIM (lavagna interattiva multimediale). La dotazione consiste generalmente in una/due per istituto.
Purtroppo ciò si affianca all'abbandono di molti Laboratori d'Informatica che fino allo scorso anno funzionavano grazie alla terza ora di Tecnologia, scomparsa nella nuova organizzazione dell'orario scolastico.
Senza nulla togliere alla validità della LIM, vi posso garantire che le opportunità didattiche offerte da un laboratorio d'informatica sono di gran lunga superiori a tutte le LIM di questo mondo. I ragazzi vogliono essere operativi tutti insieme e subito, cosa che si riesce a fare solo utilizzando un laboratorio d'Informatica normalmente attrezzato, oggi presente in quasi tutte le scuole ma usato solo da pochissimi docenti.
È giusto si sappia che l'abolizione della terza ora di Tecnologia, prevista dalla riforma Moratti e messa in essere dal ministro Gelmini, ha costretto molti colleghi di Tecnologia, che dedicavano tale ora all'Informatica, ad abolire questa attività dalla propria programmazione. Qualche docente di buona volontà tenta di farla sopravvivere in brevi Unità Didattiche, molto ardue da realizzare perché è una vera impresa portare un'intera classe in laboratorio.
Personalmente, come insegnante di Tecnologia, avevo attivato l'ora d'Informatica già a partire dal lontano 1990. Oggi, con sole due ore, sono stato costretto a rivedere la mia programmazione penalizzando l'Informatica.

Lo scompenso orario dovuto al taglio della terza ora di Tecnologia ha comportato la necessità, per il completamento a 30 ore settimanali, di riorganizzare l'intera offerta formativa. Una parziale soluzione, praticamente una "pezza didattica" è stata trovata con l'introduzione dell'ora di Potenziamento d'Italiano. La gestione pratica di quest'ora è risultata di difficilissima gestione in molti istituti e di discutibile validità, costringendo ad acrobazie per la formazione dell'orario.
Ciò ha inevitabilmente creato malcontento generale nei ragazzi e nei genitori che rivendicano il diritto a tornare indietro al pieno reintegro della terza ora di Tecnologia dedicata all'Informatica.
Molte scuole stanno tentando di compensare questo vuoto con qualche ora pomeridiana, pagata col fondo d'istituto, ma la torta da spartire con le altre attività è piccola e non soddisfa nessuno.

Prof. Mario Festa

26 novembre 2009

Come comportarsi con l'ipovedente grave e cieco…

FAQ per l'interazione con i non vedenti

Contributo di informazione per docenti, educatori, personale scolastico…

Per comprendere cosa significa realmente essere ciechi dalla nascita non basta chiudere gli occhi. Bisognerebbe dimenticarsi di come è fatto un bicchiere, come funziona un ascensore, come si compone un numero telefonico, come si usa la cucina a gas e di milioni di altre immagini mentali che aiutano un vedente a vivere in modo semplice.
È quindi importante rendersi conto della diversità tra chi è cieco dalla nascita e chi lo diventa in seguito a incidente o malattia. Se il secondo caso, per molti versi, è più traumatico, nel primo occorre trovare la capacità di inventarsi un mondo intero. Ignora forme e colori e deve servirsi di tutti gli altri sensi per potersi orientare nell'ambiente che lo circonda.

Il cieco non può, per esempio, leggere in uno sguardo o interpretare un gesto. Non gli servono né i "qui" né i "là", non può scorgere né un cenno del capo né un sorriso, non vede da che parte si apre una porta. Riconosce le scale solo dal basso verso l'alto e se devono scendere una rampa fanno fatica a trovare il primo gradino. E poiché la loro menomazione spesso non è evidente, molte volte non viene presa in considerazione.
Chi è privo della vista ha spesso difficoltà a partecipare a colloqui, in quanto non sa a chi si deve "rivolgere". Se non conosce la ragione per cui attorno a lui si ride, diventa insicuro. In poche parole, il cieco ha sempre bisogno di spiegazioni.
Per tutti questi motivi nei ciechi gli altri sensi si sviluppano maggiormente e meglio. Con l'andar del tempo il cieco acquista, per esempio, un'eccellente sensibilità tattile (chi però si lascia toccare volentieri?) o una particolare percezione dei rumori. Nella maggior parte dei casi riconosce la gente soltanto dalla voce. Alcuni semplici suggerimenti che possono facilitare il rapporto con i non vedenti:

  • Avvicinandovi a un non vedente fatevi notare per tempo. Tenete presente che non vi vede e neppure vi conosce. Ditegli quindi anzitutto chi siete, in quanto desidera sapere a chi affidarsi senza timori.
  • Per guidare un cieco non lo si dovrebbe mai prendere per un braccio. Offritegli sempre il vostro braccio che afferrerà al di sopra del gomito. In tal modo non occorrerà suggerirgli la direzione: con la vostra guida si orienterà subito. Lo si dovrà precedere soltanto in punti stretti.
  • Non dimenticate che non può vedere un sorriso o un cenno del capo. Dovete perciò parlargli.
  • Quando sta per attraversare una strada avvertitelo sempre; così anche quando sta per lasciare o raggiungere un marciapiede.
  • Quando vi allontanate mai senza aver preso commiato. È per lui penoso accorgersi di parlare a una persona che nel frattempo si è allontanata.
  • Non seguitelo mai con l'intenzione di aiutarlo in caso di necessità. Egli percepisce la vostra presenza e si sente a disagio.
  • Per aiutare un non vedente a salire su un mezzo di trasporto pubblico basta mettergli una mano sulla maniglia o sul corrimano e avvisarlo se un gradino è particolarmente alto. Trattandosi di una scala, fategli notare il primo e l'ultimo gradino.
  • Se desiderate offrirgli un posto a sedere, fategli poggiare semplicemente una mano sullo schienale della sedia. Trattandosi di una poltrona, occorre accompagnare la mano al bracciolo e precisare da quale parte è la poltrona stessa.
  • Quando deve salire su un automobile, indicategli sempre la parte anteriore e quella posteriore della vettura. Fategli quindi posare una mano sul bordo superiore della portiera aperta. Con l'altra il cieco si orienterà, toccando il tetto della vettura, poi prenderà posto.
  • Se dovesse aver perso l'orientamento, elencategli semplicemente ciò che gli sta davanti, dietro, a destra e a sinistra.
  • Porgete il vostro aiuto solo se espressamente richiesto.
  • Trovandovi a tavola con un non vedente chiedetegli se potete essergli d'aiuto. Spiegategli che cosa c'è nel piatto e come sono disposti i cibi sull'esempio di un quadrante d'orologio. Così gli potrete per esempio dire: i legumi sono sulle ore 6, la salsiccia sulle ore 10, e così via. Indicategli dove si trova il bicchiere e non riempiteglielo troppo. Se fuma, porgetegli un portacenere.
  • Nel dargli qualcosa, chiamatelo per nome o toccatelo leggermente.
  • Per i ciechi e i deboli di vista l'ordine è molto importante. Ogni cosa ha il suo preciso posto. Nella loro abitazione rimettete sempre al loro posto gli oggetti usati. I bidelli devono sapere che tutto nell'aula deve mantenere sempre lo stesso posto (cestino, banchi…)
  • Se in un locale, cui sono abituati, viene spostato un oggetto, devono saperlo.
  • Se li aiutate a togliersi un abito o a posare lo zainetto, dite sempre dove lo posate o l'appendete.
  • Se volete leggere qualcosa a un non vedente elencategliene dapprima i titoli.
  • Ai ciechi parlate sempre con la massima naturalezza e il tono di voce abituale.
  • evitare di guidare prendendo per mano perché questo no fornisce indicazioni sul movimento che state per fare. Abituarsi a porgere il braccio e non insistere per aiutare.
  • Evitare che in classe il livello di rumore si alzi. Chi non vede usa l'udito per percepire tutto quello che gli succede intorno.

25 novembre 2009

Il mio primo giorno di scuola in una classe con non vedente

Il caso mi ha condotto a cercare qualcosa che ho scritto ormai dieci anni fa.
Sono felice di avere ritrovato questo pezzo, per tanti versi superato, ma ancora carico di emozioni.
Lo ripropongo perché può dare qualche spunto ai docenti che si troveranno ad iniziare la sfida e l'avventura di un anno scolastico con una classe in cui c'è un ipovedente grave o un non vedente.

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16 Settembre 1999

Sono un insegnante di educazione tecnica e mi preoccupo di perseguire, oltre alla necessaria formazione tecnologica, il massimo grado di promozione dei valori umani e delle specifiche abilità individuali.
Sono convinto che il modo migliore per inquadrare tutta l'attività educativa del triennio intero sia quello di fornire immediatamente agli allievi un modello di riferimento iniziale che si proponga con forza e immediatezza. Chiamo questa di primo contatto "IMPRINTING", richiamandomi al fondamentale rilevo che, negli animali appena nati, ha il contatto con il genitore. I primi istanti di relazione tra educatore ed allievi sono, secondo me, straordinariamente importanti, in quanto in grado di condizionare i successivi sviluppi dell'interazione. Ho quindi sempre curato con un'attenzione particolare i primi giorni di attività in classe.

Dall'anno scorso ho sviluppato un "modello di approccio classi prime" che mi serve per svolgere la prima ora di lezione nelle classi prime. Quest'anno, in una delle mie classi, mi sono trovato di fronte a un problema che richiede di reinventare molte delle mie abituali proposte educative. Mi trovo infatti ad operare in una classe in cui è inserita un'allieva quasi completamente cieca e senza supporto di nessun'altra assistenza personale aggiuntiva. Non conosco personalmente la bambina ma ho studiato tutta la documentazione con cui è giunta della elementari. Non è stato finora possibile incontrare i genitori... La malattia ha portato la bambina a perdere presso che totalmente la vista nell'arco di poco più di un anno; ciò lascia intuire quali siano le problematiche psicologiche che ciò comporta. Ho quindi riformulato il mio modello di contatto per arricchire l'intervento in modo che potesse risultare utile in una situazione come questa. Ovviamente tutta l'azione viene dettagliatamente verbalizzata, in modo da consentire a chi non è in grado di vedere di capire perfettamente cosa succede.
Ecco una sintetica descrizione di quello che accade...

Mi fermo sulla soglia della classe.
Attendo il silenzio preoccupato e curioso.
"Sono il vostro insegnante di educazione tecnica e mi sono fermato sulla porta. Mi aspetto che vi alziate in piedi"
I ragazzi si alzano dalle sedie. Per loro è essenziale capire rapidamente con chi hanno a che fare e come si devono comportare per sopravvivere scolasticamente. I ragazzi sanno che dovranno sviluppare rapidamente un soddisfacente adattamento con figure di docenti che ancora non conoscono. Qualcuno comincia a preoccuparsi per un 'insegnante che si propone in modo così formale.
"OK! In piedi! Facciamo questa ispezione!"
Si alzano e si mettono su un "quasi attenti"

Entro e passo tra i banchi guardandoli uno per uno.
"sto passando tra i banchi per conoscere i miei nuovi allievi di prima A, vedo che ci sono un sacco di facce simpatiche e intelligenti, mi aspetto di fare grandi cose insieme a voi... Ho letto le presentazioni con cui siete arrivati dalla quinta elementare. So che siete tutti, ciascuno a suo modo, dei ragazzi in gamba.."
Il giro prosegue e continuo a parlare in modo che si possa sempre rilevare la mia posizione, il tono di voce e la carica emotiva della comunicazione.
Torno davanti alla cattedra (che non userò per tutti i primi giorni).
Sempre col massimo del sorriso e della serenità, ma con grande decisione
chiedo:
"Voglio sapere se siete pronti a volare".

Volare sta nel cuore di tutti i bambine e le bambine in gamba. Chi ha problemi seri non risponde.
99 su cento accade che il gruppo dei più svegli, senza precedente accordo, esce in coro con un "SI !!".
Il "no!" ha una probabilità statistica quasi inesistente (in ogni caso ho le battute pronte per rivoltarlo come un guanto a mio favore).
dunque "SI!!!"

"Bene! Quest'anno si vola; ... e si vola alto! Non voglio una classe che striscia! Saremo un team vincente, faremo insieme cose nuove e divertenti.... conoscere, imparare, crescere, capire.... voleremo più in alto delle classi di tutti i vostri amici e ci divertiremo."
.... "OK! Vediamo un po' queste ali! Apritele!.....
Ben distese, Così! Non bisogna mica avere paura di andare in alto!
.... Che alucce sono quelle lì ?? Distendile bene che devi navigare nel blu!!
... Tutti insieme ... determinati e coraggiosi!"

A questo punto spiego più precisamente che loro sono tutti piloti, ma che i mezzi che controllano non sono tutti identici... in classe ci sono caccia, aerei da acrobazia, intercettori, bombardieri, aerei da trasporto, ricognittori elicotteri ... e anche porterei, sommergibili, sottomarini e batiscafi. Chissà se la mia bambina che si orienta con il "sonar" ha capito che può pilotare anche lei insieme a tutta la squadra. Forse sì: grazie a Dio ha un quoziente d'intelligenza misurato superiore alla norma.
"Nel cielo o nel profondo del mare i voglio tutti al meglio.
Ognuno deve pilotare al massimo del suo ruolo!.... Dovete darmi il massimo di voi stessi. Potete farlo e diventerete uomini e donne integrali"

OK! Tirate pure giù!..... Adesso che ci siamo capiti, facciamo sentire a tutta la scuola che è arrivata la prima A!
Facciamo venire giù i muri, correre le bidelle e uscire la Preside a vedere che succede.
Si organizza un triplice URRÀ! da fare tremare i vetri.
(la porta della classe rimane SEMPRE aperta, è un segno e fa parte di una strategia... ma questa è un'altra questione educativa e psicologica).
Esplode il previsto triplice boato.
.....
A questo punto la classe ha sviluppato un livello di consapevolezza e di autostima che anni fa mi costava almeno due settimane di lavoro.

"bene! Ora voi sapete che i piloti hanno un modo tutto loro per navigare. Lo avete sentito usare nei film... È il sistema di orientamento a quadrante: - nemico a ore 3! - attento in coda ore 5! -"
Mi assicuro che tutti sappiano leggere con sicurezza gli orologi analogici a lancette. Li faccio divertire per un po' a usare le braccia distese per indicare le posizioni.
"questo sistema si impiega in molte situazioni in cui la tecnologia gioca un ruolo importante, serve per trovare un quadro comandi al buio o capire dove va un cavo o una tubazione..."

Dal momento che l'educazione tecnica si occupa del mondo del costruito li informo che tra i nostri obiettivi rientra la conoscenza e l'analisi di tutto quello che ci circonda e l'appropriazione di tecniche di ricerca e rilevamento. Le conoscenze possono essere acquisite anche utilizzando fonti di informazione scritta, ma che noi cercheremo, per quanto possibile di essere essenzialmente operativi e di "essere sempre sul campo".

In questa prima ora esploreremo il piano terreno della scuola. Sempre parlando spiego: "ora sposterò la cattedra contro il muro in modo da formare uno spazio davanti a voi..." cerco di non dimenticarmi che devo dire tutto quello che faccio, dove mi trovo e come mi muovo. Organizzo un trenino, insegnando che non si devono tenere per mano , ma che ognuno deve tenere il braccio di chi lo precede.

Usciamo in modo ordinato dalla classe, girando subito a destra, e percorriamo il corridoio. Sempre facendo rilevare la mia posizione li faccio camminare rasente al muro, spiegando i vari tipi di superficie che incontrano e facendoli toccare. Qui c'è una pittura plasticata lavabile (per evitare gli scarabocchi, ora c'è una grande colonna, ci giriamo intono... è rivestita da una vernice antincendio.... le porte delle classi... le contiamo... prima B, Seconda B.... Contiamo le colonne e faccio notare la loro distribuzione lungo il percorso...

Arriviamo alla scala antincendio... spiego la posizione degli estintori. Arrivati in fondo riprende l'analisi percettiva dell'altro lato del corridoio... i mattoni... le piastrelle... le porte dei bagni. Entrano ed esplorano con i loro corpi l'aula degli insegnati, gli armadi, le cassettiere... "annusiamo" tutto il piano e rientriamo in classe.
La prossima volta toccherà a parte del piano superiore con i laboratori. So già che dovrò fermarmi ai piedi della scala e descriverla esattamente...

La lezione è finita e la scuola anche, per questa mattina. Organizzo un'uscita ordinata. Il mio sottomarino ha una nave appoggio: un'altra bambina con cui è perfettamente in sintonia. Tutti escono e li saluto. Ora so che la mia lezione ha fatto centro: non ho ancora capito QUALE è la bambina che non mi vede.

14 novembre 2009

"Cose da negre" e cioccolatini

"Cose da negre", mi risponde Sheila, dall’ultimo banco in fondo alla classe.
Una battuta che non ammette repliche.
Così mi sono sentito un po’ fuori gioco. Intanto perché era evidente che erano cose da donne… e poi perché erano cose da negre e io sono proprio un estraneo: bianco e per giunta professore.

Avevo chiesto se c’era qualche problema: la vivace discussione con la compagna di banco mi aveva distratto dalla spiegazione.
Non so quanto i miei allievi si distraggano, ma so per certo che loro mi distraggono tantissimo, così mi interrompo spesso, perché i loro interessi sono molto più divertenti delle mie spiegazioni.
La vita si gusta con mille sapori oppure non è vita.
 Le parole possono essere pericolose per il modo e l’intenzione con cui sono dette, non per il loro significato.
Dunque io sono un bresciano. Ma il termine può diventare un epiteto adoperato in modo sgradevole in un contesto di conflitto, come può accadere nel confronto tra tifoserie.

Cinese, Filippino, Pakistano, Romeno… Sono parole che possono essere riempite di rispetto o disprezzo, a seconda della bocca da cui escono, del momento e del contesto in cui sono pronunciate.

Nella mia scuola, i miei colleghi ed io interveniamo ogni volta che si esprime volontà offensiva, considerando atto di bullismo ogni espressione di disprezzo, compreso i "culo" e i "lesbica".

La consuetudine alla fusione di razze, lingue, abbigliamento ed altre manifestazioni, non tutte necessariamente gradevoli, è tale che per ingiustificabili vergogne è sempre più ridotto.
Sì, sono Albanese …. e allora?
Così la soggezione lascia il posto all’orgoglio, che viene incoraggiato.
Nei corridoi si sente salutare con l’appellativo “fratello”, proprio come vediamo fare tra giovani di colore, ispanici e compagni di college… su MTV o nei film americani. A volte il fratello ha una pelle diversa e questo è il segno che stiamo lavorando bene nella nostra scuola.

Però la strada da fare è ancora lunga: offese, rifiuti ed insulti sono all’ordine del giorno. Lo sono normalmente tra ragazzi, ma quando il pretesto è l’odore o il colore, l’oltraggio diventa detestabile.



Così ho pensato di preparare una lezione sul cioccolato.
Il cioccolato è buono e lo facciamo venire qui da tutte le parti del mondo.
È dimostrato che l'assunzione di cioccolato stimola il rilascio di endorfine, in grado di aumentare il buon umore.


Tra le nazioni da cui viene importato il cacao più pregiato ci sono: Messico, Brasile, Colombia, Equador, Venezuela, Ghana, Camerun, Nigeria, Costa d'Avorio, Madagascar, Indonesia, Sri Lanka…
Sostanzialmente il cacao è un immigrato: viene qui per lavorare a fare il cioccolato ma nessuno si sogna di offenderlo per il colore che ha.
Cioccolato al latte, bianco, fondente, alle nocciole: sono sicuro che potrei trovare il cioccolatino giusto, esattamente con il medesimo colore di pelle, per ciascuno dei miei allievi ed allieve.

Non ho avuto il tempo per scovare tutte le razze di cioccolato che mi occorrevano, ma sono certo che esistono e che sono tutte straordinariamente gradevoli per il gusto e per l’olfatto.

Così come è il cacao a dare vita ai cioccolatini, il sangue di ciascuno può salvare persone che hanno la pelle di colore diverso.

Non mi risulta che nessuna tavoletta di cioccolato fondente abbia mai dato del “culo bianco” al cioccolatino al latte.


Le ragazze ed i ragazzi hanno capito perfettamente cosa volevo intendere.
Così abbiamo pensato che appena tornerà il caldo faremo una lezione sul gelato:
Alla fragola, al limone, al pistacchio, al cioccolato, albicocca, pesca, mirtillo, panna, nutella, vaniglia, malaga, liquirizia, cannella, lampone, yoghurt, castagna, ciliegia, caffè, banana, cocco, bacio, mora, malaga, frutti di bosco….
Un mondo sconfinato di dolcissimi gusti.

Che disgrazia sarebbe un mondo tutto dello stesso "gusto".

Grazie di esistere colori dell’universo, note della musica, sapori della terra, ragazzi e ragazze della nuova Italia.

12 novembre 2009

Tutti uguali, non tutto equivalente

La prima ora di scuola, all'inizio dell'anno scolastico, è quella che dedico, tra l'altro, alla spiegazione delle regole.
Non ci mettiamo in cerchio per stabilire insieme come ci si comporta.
Scuola maestra di vita: dunque è il professore che si assume la responsabilità di dare direttive e, se ci riesce, il necessario esempio.
Le regole sono tre e molto semplici: Rispetto, Rispetto, Rispetto.
All'attuazione di questa elementare ricetta faccio corrispondere la sufficienza.
Ogni altra prestazione scolastica incrementa la valutazione.
L'obiettivo finale è quello di "non dare nemmeno una sufficienza". Il che significa che in alcune classi sono tanto fortunato da partire dal sette in su.
Rispetto della vita, della persona, dell'ambiente e delle cose, del lavoro, dei sentimenti.
Per me è una questione che non dovrebbe nemmeno essere sottoposta a ipotesi alternative.
Sopra a tutto resta il rispetto per la vita umana.

Nessuno Stato che infligga la pena di morte per tortura dovrebbe poter essere considerato civile.
Se è vero che il rispetto è dovuto ad ogni persona, fatico ad ammettere che ogni civiltà sia equivalente.
Non credo proprio che sia un'usanza rispettabile quella di uccidere legalmente attraverso un'atroce tortura di una decina di minuti, durante i quali la vittima è cosciente, urla e sprizza sangue e parti di organi.
Non riesco ad immaginare che ci sia qualcosa di rispettabile in una civiltà in cui è accettabile, e persino ritenuto giusto, che i carnefici agiscano direttamente con mani e pietre per togliere lentamente la vita ad un'altra persona.
Quando poi questa vittima è una mamma-bambina, mi risulta perfino intollerabile il pensiero.
Non è invece prevista la lapidazione del neonato figlio della colpa. Grande segno di civiltà eh?

L'amica Renata (remucci.blogspot.com) mi ha fatto riflettere sull'enormità di questi tragici fatti reali. Il suo post le è costato non poca sofferenza: non è semplice trovare la forza per scrivere parole che grondano di sangue ed urlano dolore.

07 novembre 2009

"700.000 iscritti per licenziare la gelmini" : gruppo FaceBook

FaceBook aggiorna continuamente le informazioni sulle attività degli amici virtuali.
Così mi accorgo che molti dei miei giovanissimi allievi si sono iscritti al gruppo FaceBook "700.000 iscritti per licenziare la gelmini".

Osservo con dispiacere che nei commenti non mancano ingiustificabili offese di cattivo gusto. Dissento. Dissento con forza. Esprimo tutta la mia dissenteria ;-) :-)

700.000 iscritti?
Ma è un'enormità! ... poi quasi tutti studenti e studentesse! Incredibile.
Poi guardo meglio: Settecentomila è il numero "target" che si propone come obiettivo.
... però... però.... Al momento in cui scrivo sono 212.859 membri!!!
Ogni minuto le iscrizioni crescono ed il fenomeno esplode.
Qui non è tecnicamente possibile iscriversi più volte.
Una enormità!

L'anno scolastico 2009-2010 è ancora lontano dalla chiusura ma qui già si impone l'urgenza degli esami.

Si apra un bell' ESAME DI COSCIENZA per tutti.

Il ministro Maria Stella Gelmini dia l'esempio!

04 novembre 2009

Crocifisso educativo


Premetto che mi dichiaro credente cristiano.

Pensatela come volete, ma sento il bisogno di dire come vedo la faccenda del Crocifisso nelle scuole.

Il mio amico Don Fabio dice che il Crocifisso, chi ci crede, deve portarlo nel cuore e che non è importante che ci si premuri di appenderlo in giro ad ogni occasione.

Se non sta al primo posto nel cuore, è inutile esibirlo altrove.


Il fatto è che sono convito del valore educativo del Crocifisso nelle aule scolastiche.


Serve per fare capire ad allievi ed allieve che fine fa chi vive integralmente l'amore per gli altri.

Metterci l'immagine di chi raccoglie universale approvazione e successo sarebbe sicuramente più gradevole (un calciatore, un cantante o una persona potente, bella e ricca) ma credo che risulterebbe meno costruttivo.



Siamo tutti sicuri che un Crocifisso sia un simbolo religioso?
Io credo che sia un simbolo educativo.
Certo che da' fastidio vedere raffigurato qualcuno morto sotto tortura per avere dato fastidio ai potenti!

Meglio non dire nulla, insegnare che non bisogna dare fastidio a nessuno, che è meglio tacere e non esprimersi, obbedire e non esporsi.
o no?

Poi valuteremo se è opportuno bruciare libri affinché gli analfabeti non si offendano.

Infine potremmo incominciare a vergognarci di esporre un'inutile segno di identità e libertà come la bandiera e sentici disonorati nel dichiarare idee di fratellanza, solidarietà, rispetto, pari valore di ogni uomo e donna...
... per adeguarci a chi la pensa diversamente.

03 novembre 2009

Iniziata la corsa all'omologazione

L'impressione che mi sono fatto è che le scuole superiori, per istinto di sopravvivenza, abbiano iniziato una folle competizione verso l'assorbimento totalizzante di qualsiasi opportunità di formazione definibile e disponibile.

Obiettivo dichiarato dei recenti interventi normativi era quello di ricondurre 396 indirizzi sperimentali, 51 progetti assistiti dal Miur ed un numero enorme di sperimentazioni... a soli 6 indirizzi di studio liceale.

Cosa sta accadendo in realtà?

Ormai molti anni fa c'erano scuole ben identificabili nell'immaginario collettivo: diplomavano geometri, ragionieri, periti, maestri... e la gente sapeva o credeva di sapere COSA erano queste figure.
Poi ogni istituto allargò e differenziò la propria offerta formativa a dismisura, nel tentativo di raccogliere iscrizioni. Questo grazie all'idea che si affermava di "scuola azienda" e di servizio inteso esattamente come prodotto commerciale da vendere in competizione sul mercato scolastico. Non per nulla si parla di "offerta formativa"!

Oggi mi sembra che tutto sia stato ridotto ad una scuola superiore che rinvia ulteriormente le scelte professionali, accontentandosi di contenuti culturali piuttosto indifferenziati, almeno fino al triennio di specializzazione... mantenendo sullo sfondo la necessità di una indispensabile prosecuzione ed approfondimento universitario... poi di specializzazione e master... poi di stage e praticantato ... fino allo sfruttamento del precariato. Tanto di lavoro non ce n'è!

Così gli istituti scolastici che si sentono tagliare l'erba sotto ai piedi, con la conseguente riduzione di fondi e personale, stanno pensando di recuperare "quote di mercato scolastico" rimediando nuovi indirizzi e nuovi corsi.
Così una scuola per geometri o con altro specifico e tradizionale indirizzo (un tempo storico patrimonio di quell'istituto) aspira a divenire SCUOLA SUPERIORE DI TUTTO.

Invece di ridurre e semplificare gli indirizzi si sta forse correndo verso un marasma in cui le identità confluiscono, confondendosi al ribasso verso una sorta di minimo comune multiplo della cultura e della competenza.

Nuovi licei, nuovi istituti tecnici, nuovi corsi professionali... ma tutti simili, tutti omologati, tutti nel medesimo edificio scolastico.

Tanto di lavoro non ce n'è ed in qualche modo questi giovani bisogna pure tenerli occupati. O no?

30 ottobre 2009

Con questi esempi...

L'attenzione nelle Aule non sembra una priorità:

25 ottobre 2009

Non si torna indietro

La vecchia scuola non c'è più, quella nuova è ancora lontana: si torna all'istruzione come privilegio dei benestanti.

I problemi sono sostanzialmente due: la scuola di base e la scuola di formazione.

La prima ha cessato di esistere nella forma che conosciamo.

Un tempo la scuola di base forniva conoscenze (oggi si parla di competenze) che servivano per diventare cittadini consapevoli con una base di preparazione culturale che definirei "adeguata" cioé corrispondente al livello collettivamente considerato "soddisfacente". Ora quel livello è assunto come "minimo" e "sufficiente". Ci si aspetta cioé che la scuola di base insegni a leggere, scrivere e fare di conto. Il resto è definito "traguardo di apprendimento" e come tutti i traguardi non è detto che debba essere tagliato. Dunque è un "di più". La scuola di base non è più il luogo di crescita culturale che permette di avere qualche genere di affermazione sociale. Ora il progresso sociale si raggiunge con le opportunità offerte dalla famiglia: giochi istruttivi fin da piccoli, internet, genitori che orientano alla visione di buoni documentari, che portano alle mostre ed a visitare città e luoghi d'arte e di storia, viaggi all'estero, che offrono buone letture, teatro, iscrizioni a gruppi e club che producono cultura, scambi con coetanei, stage all'estero... Siamo tornati al "prima della scuola pubblica". Quando i signori potevano permettersi una formazione vincente per i loro figli. In una classe che mediamente non comprende comunicazioni semplici in lingua italiana... cosa si può fare di più?
Si può fare solo ed esclusivamente EDUCAZIONE cioé formazione umana e civile: per i contenuti ci si può accontentare.

Diversa è la questione per le superiori. La scelta è stata quella di ridurre le ore, le specializzazioni, i laboratori.
i paesi emergenti tengono invece a scuola i ragazzi dalla mattina alla sera e gli "fanno un [U10 'tanto" mantenendo una pesante selezione: chi non tiene il ritmo è fuori. Ed essere fuori significa per un ragazzo cinese, indiano, malese... rinunciare ad una vita migliore. Da noi tenere il ritmo significa seguire un percorso fatto di formazione superiore, università, specializzazione, master... precariato.

Da questa condizione si può uscire con un cambiamento politico e sociale epocale, che non valorizzi più il profitto ed il consumo, ma che inventi una nuova "economia sostenibile" fatta di servizi, non fondata sul consumo di risorse non rinnovabili (combustibili fossili, metalli ecc...). Invece qui si discute sulla ripresa fondata sul CONSUMO: esattamente la causa del disastro economico e sociale post-industriale. Rilanciare il consumo, alzare il PIL... mentre invece il pil va abbassato perché è necessario produrre benessere e non benavere e benconsumare.

La crisi della scuola è semplice specchio della crisi globale. La mia opinione personale è che bisogna raggiungere un punto di svolta che comporti una nuova consapevolezza culturale, economica e sociale. Invece si sta tentando di fare ripartire un motore che ha ormai concluso il suo ciclo storico. Fose ci vorranno 10 anni, forse venti... solo DOPO saremo pronti a inventare una nuova scuola.

Nel frattempo gli eroi partono per l'Africa.

... ma io sono un modello fuori produzione del secolo scorso.
Ho deciso di cambiare terreno e gioco.

La soluzione immediata di sopravvivenza per le famiglie è:
a) la scuola per socializzare
b) la famiglia per formarsi.

Un tempo la scuola forniva le opportunità di socializzazione e formazione in modo integrato.
Non è più così. Ci piaccia o no.

21 ottobre 2009

La fine del Diritto

Diritto ed Economia.

Che fine fa?
S P A R I S C E sostanzialmente da tutto il panorama in cui si articolano i licei.
Rimane solo nel liceo delle scienze umane MA NON IN TUTTO!
SOLO se si sceglie l'opzione economico sociale.
Cancellare lo studio dell'economia nel liceo ad indirizzo economico sarebbe infatti parso una bizzarria eccessiva.
Due ore: và! ... esageriamo!

Quando si decise di intervenire con i risultati che vediamo sulla scuola, gli insegnanti delle discipline da sacrificare vennero indirizzati alla frequenza di corsi di riconversione. In questo modo, oltre all'abilitazione in Educazione Tecnica sono ora in possesso di una abilitazione per l'insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche.
Opportunità mai sfruttata per anni ed anni... praticamente impossibile ottenere una cattedra.
Ora la faccenda si chiude definitivamente: basta con l'insegnamento di questa disciplina, così marginale e demodé.
Meno male che vado in pensione... forse.

[Qui, materia per materia, le tabelle orario dei nuovi licei]

la musica è finita... gli amici se ne vanno... e tu...

Composizione di Franco Califano, canta Mina, decreta Gelmini.
Finalmente noti i quadri orari per le scuole superiori.
Musica rimane solo nei licei musicali, due in Lombardia, forse a Milano ed a Brescia.

Del resto... cosa c'è da cantare?

[Qui la fonte]

19 ottobre 2009

Senza parole

Devo ammetterlo.
Non riesco più a scrivere post sulla situazione della scuola.
Non che non ci sia nulla di cui scrivere... anzi!
Lo sconforto ha preso il sopravvento. Non credevo che ciò avrebbe mai potuto verificarsi.
I recenti interventi normativi hanno ormai chiuso con la storia della scuola così come l'ho conosciuta per quasi quarant'anni.
Non mi sembra però che sia nato qualcosa di veramente innovativo.
L'impressione è che il passato, nel bene e nel male, è ormai strangolato, mentre il futuro è semplicemente annunciato a colpi di comunicati e conferenze stampa.

I fatti sono quelli con cui facciamo i conti ogni giorno.
La mia scuola non può nemmeno permettersi il lusso di comprare poche cose che servirebbero per la normale manutenzione. La proclamata valorizzazione del merito si traduce nel mancato pagamento della remunerazione alle "funzioni obiettivo" (dello scorso anno scolastico!).

Sono stato contattato da una giovane ricercatrice di Roma, incaricata di un importante progetto didattico. Aveva la necessità di recuperare materiali di normalissima disponibilità per un operatore del settore. Era evidente che poteva essere definita come "sprovveduta".
Le ho scritto che avevo proprio il pallone che serviva a lei ma che non lo avrei concesso per starmene fuori campo a veder giocare gli altri. Ovviamente non ho più avuto risposta.

Le nuove indicazioni nazionali (programmi scolastici) vengono elaborati nascostamente con la consegna del segreto.

Ecco la domanda numero nove da "le Dieci Domande alla Gelmini"...

9. Lei non pensa che i programmi, i curricoli, i progetti più significativi per elevare la qualità culturale della nostra scuola dovrebbero essere il frutto di una elaborazione condivisa, trasparente, qualificata, in dialogo permanente con le comunità scientifiche, professionali, il mondo della scuola? Lei sa che di molti gruppi, commissioni di studio, consulenti, “esperti” che operano per progettare il futuro della scuola non è dato di sapere nome, qualifica, provenienza?

La condizione di delusione, frustrazione e disarmata rassegnazione a cui sembrano condannati docenti di lungo corso e precari è drammatica.

Il passato appare irrimediabilmente demolito, tanto in ciò che andava certamente cambiato quanto in ciò che funzionava.
Il futuro appare in balia di fumose promesse ed improvvisazione.

Ho sempre detto alle ragazze ed ai ragazzi delle mie classi che faccio l'insegnante per divertirmi.
Loro continuano a divertirmi, ma questa scuola mi sta lasciando senza parole mentre sento lo sconforto crescere.

05 ottobre 2009

Siamo tutti Sorelle e Fratelli di Serendipity

Questo blog si occupa essenzialmente di educazione nel nostro mondo tecnologico.
Al centro di tutto rimaniamo comunque noi esseri umani, con la nostra forza e con la nostra fragilità.
Così non c’è tecnica che tenga, al cospetto del cuore.

Ho perciò deciso di condividere con i miei tre lettori tutta la profondità delle emozioni di un post che è stato recentemente scelto come “Miglior Post del 2009” (Macchianera Blog Awards 2009).
Non sono riuscito a sapere nulla dell’Autrice che si cela dietro allo pseudonimo di [serendipity].

Ho imparato che “serendipity” è l’attitudine a trovare e riconoscere, in modo sorprendentemente felice ed improvviso, qualcosa di inatteso ed importante che nulla ha a che vedere con quanto si andava cercando e che ci si proponeva di trovare.

Nulla di più appropriato!
Nella voragine di una confidenza suprema d’amore e di morte, ho potuto scoprire la luce del senso della vita e trovare qualche cenno di risposta alle eterne strazianti domande di sempre.

Il post originale si intitola:
19 marzo, la festa di mio papa’. Un post che nessuno leggerà fino in fondo. Peccato
In effetti è un post che difficilmente si riesce a leggere fino in fondo.
Te ne accorgi quando leggi parole che ti rendono difficile respirare senza che il petto sussulti. Poi gli occhi cominciano a bagnarsi e diventa difficile proseguire perché la lettura diventa decisamente troppo liquida.

Arrivare in fondo è una sfida perché “lì dentro ci sei tu” … e te ne accorgi dai sintomi insopprimibili della commozione più incontrollabile.

Io non sono ancora riuscito a leggere interamente il post di “serendipity”.
Non sono ancora pronto per sopportarlo tutto insieme.
Debbo prenderlo a piccole dosi, un po’ per volta, proprio come suggerisce il blog collettivo su cui è comparso: CLORIDRATO DI SVILUPPINA.

Intanto… GRAZIE, serendipity.
Sei riuscita a dare parole e coscienza a chi si è trovato fratello e sorella con te.
Grazie anche a tutti quelli che hanno commentato questo post.
Stringerci insieme per capire il senso della morte ci aiuta tutti a crescere nella fiducia della vita.

Infine…
… se hai resistito fino a qui.
Se hai il cuore forte, tempo e fazzoletti a portata di mano…

Eccoti il posto originale di “serendipity”.

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19 marzo, la festa di mio papa
Un post che nessuno leggerà fino in fondo. Peccato

Eccoci qua. Esattamente un anno fa morivi, papà.
Oggi ho rivissuto tutto quel giorno. La mamma che mi chiama e mi dice che non ti muovi più, Simone che corre a casa, io che imbocco l’autostrada sperando che non sia vero. Le due ore di macchina peggiori della mia vita. Poi arrivo in ospedale e un infermiere lascia aperta la porta della sala emergenza. Io ti vedo urlare, con i medici che si accaniscono su di te facendoti soffrire. Mi faccio coraggio e ti urlo “Papà, papà… sono qui! Non ti preoccupare papà, andrà tutto bene!”. Un medico alza la testa e mi guarda. Capisce che non c’è bisogno di sgridarmi. Lo sa che non avrò grandi occasioni per dirti altro. Tu ti calmi. L’hai sentita la mia voce. Il medico mi guarda come per dire “è tranquillo adesso” e chiude la porta. 5 minuti dopo ti portavano in rianimazione. La mamma si è attaccata alla barella disperata. Io l’ho strattonata e l’ho cacciata via, con odio. Perché tu eri mio e volevo starti vicino io. Scusa, è stato un gesto bruttissimo. Però te l’ho sentito dire. Ti ho sentito dire “Ile… Ile…”. Sono state le ultime parole che hai detto. Le tue ultime parole sono stata io. Mi dispiace per la mamma, ma a me aiuta molto ripensarci.

Alle 8 di sera la telefonata. Ero in casa, sul divano. Ero preparata. Ho riattaccato e ho portato la mamma all’ospedale. Eravamo sole come due cani. Quando ti ho visto, mi sei sembrato così lontano. Tutto fasciato come una mummia. Non sapevo che dopo la rianimazione fasciassero così. E’ bruttissimo. Non hai neanche un corpo da abbracciare, niente. Meno male che ti ho abbracciato al pomeriggio. Eri caldissimo, scottavi. Mi hanno detto che avevi oltre 42 di febbre. Non parlavi più. Non hai potuto dirmi niente. Io invece ti ho detto tutto, compreso che eri l’uomo della mia vita e che ti amavo tantissimo. L’infermiera continuava a dirmi di parlare perché tu sentivi. Hai sentito papà? Dimmi di sì, perché ti ho detto veramente tutto in quei minuti. C’era anche il mio naso rosso appeso al muro della rianimazione. L’avevano tenuto perché speravo ti portasse fortuna. Te ne ha portata, papà? C’è qualcosa che può portare fortuna mentre si muore?

Questo anno è stato uno schifo. Ok, non si dice schifo. Questo anno è stato duro. Chi mi rincontra dopo un po’ di tempo mi guarda e mi dice “come sei… signora!”. Credo che vogliano dire che sono invecchiata. In effetti in questo anno mi sembra che me ne siano piovuti addosso 10. Me li sento tutti sulle spalle. La mamma da tirare su, la depressione, la difficoltà di alzarsi tutte le mattine col dolore. Però la mamma è bravissima, si fa forza più di me. Io i primi tempi ero arrabbiata, furiosa. E mi succedeva che odiavo le mie amiche che hanno il papà. Non è giusto, lo so, ma non potevo farne a meno. A me sembra cattivo che le altre abbiano il papà e io no. Non dovevi morire tu. Ci sono tanti stronzi al mondo, perché non loro? Sì ok, non si augura la morte a nessuno. E non si dice stronzo. Però che le altre avessero un padre a me non stava bene. Adesso questa cosa l’ho superata, ma ogni tanto torna su. Sono anche diventata ansiosa. Ho paura di perdere le persone che amo e sono apprensiva con la mamma. No… non è lei apprensiva con me. E’ il contrario. E’ che ho paura di perdere anche lei, ho paura che si ammali e muoia come hai fatto te. E allora le sto sempre addosso. Pensa: andiamo d’accordo. Giuro! No, non sto dicendo una balla tanto per farti stare tranquillo: io e la mamma non litighiamo più. Oddio, ogni tanto succede perché esagera, però mi sono messa d’impegno e sopporto. Anche lei sopporta me ma io sono meno pesante. Comunque insomma, adesso vedo malattie un po’ dappertutto. E riverso le mie paure sulla mamma, su Simone e su me stessa. Spero che passerà, ma non credo che ci vorrà poco tempo.

Al lavoro tutto bene. Papà, sono stata bravissima: non mi sono mai fatta compatire. Non sono mai scoppiata a piangere, non ho fatto scene, non mi sono dimostrata triste. Solo una volta sono scoppiata ma Ludovico mi ha fatto ridere subito e mi è passata. Comunque mi ha visto solo lui. Anche al funerale non ho fatto scene: sapevo che tu odi vedermi piangere e mi sono trattenuta. Solo che mi danno fastidio le persone che vengono ai funerali e ti piangono in faccia. Ma cazzo, già tu sei triste e poi uno ti piange davanti? Ma trattieniti cazzo, sennò io come faccio? Sì ok, ho detto due volte cazzo. Tre con questa. Però anche tu tiravi un sacco di bestemmie, eh. Ah, ho iniziato a bestemmiare anch’io. No, non in mezzo alla gente. Solo in casa. Quando proprio non ne posso più, ne tiro una. Mi fa stare d’un bene… ok, prometto: d’ora in avanti ne dirò poche. No, che non ne dirò neanche una non posso promettertelo. Tra l’altro dopo che sei morto sono entrata ancora più in crisi con dio. Perché se non esiste, come penso, vuol dire che non esisti neanche tu. Che non sei un angelo, uno spirito, una presenza, niente. Se dio non c’è, tu sei finito quel giorno nella rianimazione dell’ospedale. Se invece dio c’è, tu sei qualcosa e io dovrei sentirti. Ma papà… non so come dirtelo… io non ti sento. Quindi o tu non sei bravo a dare segni o ritorniamo al punto che dio non c’è. Non so, hai idee a riguardo? In ogni caso, se ci sei, fatti sentire meglio perché spesso ho bisogno di te e dico “se ci fosse papà…”. Comunque, per tranquillizzarti, ti dirò che: quando affetto il salame sto attenta a non tagliarmi le dita; che uso i cacciaviti a stella quando ci vogliono i cacciaviti a stella; che ho aggiustato la cassetta del water alla mamma, ho siliconato le piastrelle della cucina e sterminato degli scarafaggi. Quando riparo qualcosa, però, il solo rovistare nei tuoi attrezzi mi fa stare da cane. Poi penso che tu saresti stato orgogliosissimo di vedermi fare il manovale e allora mi passa subito.

Ho pagato il muratore del tetto. Non so quanto avevate concordato di prezzo, mi sono fidata di lui. Se mi ha imbrogliato, spero che gli venga qualcosa di brutto. Uffa, lo so che non si augura il male, l’hai già detto. A Natale ho regalato a tutti delle bottiglie di vino col tuo nome sopra: il vino Rizieri. Volevo che brindassero tutti alla tua salute. Fa ridere, no? Brindare alla salute di un morto che è morto di mieloma? Ok, scusa, non si scherza su queste cose. Scusa. Ho detto scusaaaaaaa.

E che altro? Ce ne sarebbero di cose da dire ma le principali te le ho dette. Sai, il giorno dopo che sei morto, alla camera ardente, stavo proprio male. E non c’è stato uno straccio di nessuno che abbia saputo comportarsi. Solo Simone. A un certo momento mi ha preso di forza e mi trascinato fuori, al sole. C’era il sole quel giorno lì. E insomma, mi ha tenuto le mani e mi ha detto che te ne eri andato perché eri a posto. Perché sentivi che nella tua vita avevi fatto tutto e assicurato il futuro a tutti. Che sapevi che io me la sarei cavata. Subito ho pensato che aveva ragione e mi sono sentita meglio. E ho pensato che di tutte le persone che mi erano passate davanti, lui è stato l’unico a capirmi davvero. E quindi, insomma, ho sposato davvero una gran persona. Poi però ho pensato che se anche rimanevi ancora un po’ a fare delle cose, a me non dispiaceva affatto. Non so se ti ho dato l’impressione di essere in gamba e autosufficiente, ma io ho ancora un bisogno di te… ma non è vero papà che adesso ho mio marito. Tu hai ancora questa idea maschilista del cazzo che se una si sposa poi deve pensare solo a suo marito. Ok, basta dire cazzo. Papà… se una si sposa a suo padre gli vuole ancora bene. Forse anche di più, perché capisce molte cose. Io e te non ci siamo mai detti “ti voglio bene”. Ci ho pensato. Non ce lo siamo mai detti. Ma ci amavamo tantissimo. Il giorno che mi sono sposata non mi hai neanche detto che ero bella. Eppure la mamma mi ha raccontato che hai pianto tutto il tempo della cerimonia. Ah-ha! Scoperto! Tu non hai pianto neanche quando è morto il nonno, mai avrei detto che avresti pianto di gioia. Ti ho visto piangere solo quando stavi male perché capivi che stavi per andartene. Tra l’altro volevo chiederti una cosa. Qualche giorno dopo che sei morto ho visto la Luciana al cimitero. La Luciana la tua amica. Mi ha detto che la sera prima di morire, a mezzanotte, l’hai chiamata e le hai detto “non sto bene… ciao”. E hai messo giù. Ma papà… perché non hai chiamato me? Perché se lo sapevi non hai chiamato me? Sarei tornata a casa e ti sarei stata vicina. Perché papà? Non volevi che venissi a casa di notte? Volevi fare il papà fino alla fine, eh? Grazie. Però.. vabbeh, scelta tua. Allora grazie, ho capito.

A me dispiace se non ho fatto tutto il possibile per salvarti. Per tanto tempo mi sono chiesta se ho sbagliato qualcosa. I primi tempi avevo paura di aver sbagliato qualche medicina e di averti fatto morire io. Poi mi sono detta “ma dai, con tutti i dottori che ha visto, non può essere stata colpa mia!”. Eppure, quando torno a casa in macchina in silenzio o quando spengo la luce prima di dormire, penso che sia stata colpa mia. Penso di aver sbagliato qualcosa e di averti ucciso. Papà, ti scongiuro, dimmi di no. Oddio, spero di non averti ucciso. Lo spero. Oddio.

Papà, provo ad andare avanti. Quando vedo un muratore che fa qualcosa, mi fermo a guardare. E penso a cosa avresti detto tu. Quasi sicuramente avresti detto che non capisce niente. E che non sapeva fare il suo mestiere. Pensa che ho sempre creduto che tu il muratore l’avessi fatto per necessità. E poi quel giorno che ti ho portato a fare le flebo mi hai detto che l’avevi scelto. Perché volevi stare all’aria aperta. Che un lavoro chiuso in una stanza ti faceva diventare matto. Mi sono sentita orgogliosa come poche. Mio padre ha scelto di fare il muratore. Mi sembra una cosa bellissima. Come quella cosa che dicevi… che andavi alla domenica a vedere i cantieri per essere sicuro che al lunedì si cominciasse bene. E che questo alla mamma non l’hai mai detto. Mi piacciono i segreti, quelli miei e tuoi. E mi piace che molta gente viva in una casa fatta da te. Anch’io vorrei vivere in una casa fatta da te.

Papà, vado a fare da cena. Sì… sììììì, lo faccio mangiare bene Simone. Ma son diventata brava a cucinare, sai? Faccio anche la sfoglia. Davvero, non ridere. No, non ci vengono i buchi. Anche la mamma non ci credeva invece ha dovuto ricredersi. Che dire ancora? Mi manchi. Ti penso sempre. Mi chiedo se ci sei, se mi guardi, se mi proteggi. E la risposta è che non lo saprò mai. Perché c’è quella cosa che non so se esiste dio. Comunque io in dio non ci credo. Però credo a una scrittrice che ha detto una cosa molto bella. A lei è morta una figlia di una brutta malattia e ha scritto un libro dedicandole una specie di lettera lunghissima.

Ecco, lei dice “non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo”. Papà, io e te staremo insieme per sempre.

[serendipity]

27 settembre 2009

Manca il gesso? Usate il computer!

Cosa mi direbbero famiglie e alunni se l'insegnante entrasse in classe, ogni volta, annunciando quello che "spiegherà"... ciò che "farà"... quello che "impareranno"?

Scuola subito!

Anestetizzata da una cultura dell'informazione fondata sull'apparenza e la proclamazione pubblicitaria, la società italiana sembra avere scambiato le conferenze stampa e gli annunci televisivi per la realtà.

Roma, 25 set. (Adnkronos) - Dotare mille classi al mese, per i prossimi quattro anni, di mini-pc, per arrivare a fine legislatura a "digitalizzare tutta la scuola". E' ''l'ambizioso progetto'' del governo annunciato questa mattina in conferenza stampa a Palazzo Chigi dai ministri dell'Istruzione e della Pubblica Amministrazione, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, che hanno fatto il punto sullo 'stato dell'arte' sulla diffusione delle nuove tecnologie nella scuola italiana.

Intanto le scuole chiedono contributi alle famiglie per poter comprare il gesso per la lavagna.

Te lo do' io il web!

Manca il gesso? Usate il computer!
Mi ricorda tanto una famosa frase attribuita alla regina Maria Antonietta quando aveva ancora la testa sul collo.

25 settembre 2009

Zero euro: i laboratori chiudono

Per il secondo anno consecutivo il ministero dell'Istruzione ha erogato "zero euro" per i fondi ordinari, mentre centinaia di istituti attendono dallo Stato rimborsi milionari, e i creditori minacciano di tagliare utenze e forniture.

Questo è quanto trovo scritto su www.repubblica.it di oggi.

La mia scuola ha un "residuo attivo" di circa 60mila euro. Sono soldi "promessi" dallo Stato ma non effettivamente assegnati alla scuola. Questa è ancora una situazione favorevole perché molte altre scuole della provincia sono in rosso di cifre ben superiori ai 100mila euro.

Da noi chi ha accettato impegni aggiuntivi per l'anno scorso (funzioni strumentali) resta in attesa di ricevere le sue competenze. Le ditte esterne che si occupano di manutenzione delle fotocopiatrici, forniture di materiali di consumo ecc... restano in attesa di essere pagate.

La soluzione che si sta diffondendo (che dilaga!) è quella di chiedere alle famiglie di versare SPINTANEAMENTE quote di contributi per carta igienica, sapone, detersivi, gesso, fotocopie...

I computer dei laboratori vanno progressivamente fuori uso per mancanza di pezzi di ricambio che non possono essere acquistati... D'altra parte non sono poi così necessari... Non c'è più la terza ora di "educazione tecnica" tradizionalmente dedicata all'informatica. Sono rimaste le sole due ore per settima /classe di "tecnologia". Le cosiddette "compresenze" che consentivano la costituzione di gruppi di lavoro non ci sono più. Restano le lezioni frontali con classe completa... Pochissime sono le scuole che dispongono di laboratori con il numero di postazioni adatto ad accogliere un'intera classe.

14 settembre 2009

Primo giorno di scuola: le bugie hanno le gambe corte

… ma se i mezzi di informazione rilanciano con martellante insistenza trionfalistici annunci , la gente comincerà a credere qualunque menzogna, purché ben sostenuta.

Così siamo al primo giorno di scuola e leggo l’offerta formativa della mia scuola come il tabellone di un aeroporto al collasso:

Laboratorio scientifico

CANCELLATO

Laboratorio di informatica

CANCELLATO

Laboratorio opzionale d’arte

CANCELLATO

Laboratorio opzionale di latino

CANCELLATO

Laboratorio di scrittura creativa

CANCELLATO

Laboratorio opzionale video

CANCELLATO

Laboratorio opzionale di teatro

CANCELLATO

Laboratorio opzionale di pallavolo

CANCELLATO

Laboratorio opzionale di danza

CANCELLATO

Laboratorio opzionale presciistica

CANCELLATO

Laboratorio recupero di lettere

CANCELLATO

Laboratorio alfabetizzazione stranieri

RIDOTTO

Semplice: riducendo aerei ed equipaggio, non si può capire come si possa affermare che i voli sono aumentati.

Questo, sia ben chiaro, non significa fare politica a scuola.

Significa dichiarare serenamente la situazione della scuola che conosco e che amo: la mia.

La politica della scuola la fa chi ha potere e strumenti per decidere e che ampiamente ne ha fatto uso.

Ora tocca alle famiglie fare i conti e capire quello che è successo.

Io i miei li ho fatti. Sono un “vecchio lupo di scuola” ed insegno dal 1972. Su 9 classi mi ritrovo oggi ad insegnare in due sole delle classi che già mi avevano come docente. Non ho chiesto il trasferimento: si tratta semplicemente degli effetti del riordino conseguente all’assegnazione del nuovo quadro orario.

Colleghi e colleghe incaricati a tempo indeterminato e solo poco più anziani, sono invece stati mandati a lavorare in sedi più disagiate, talvolta considerevolmente lontane dalla loro ormai consueta sede di servizio.

Primo giorno di scuola. Per tanti colleghi e colleghe precari è il primo giorno a casa dopo tanti anni di impegno.

Ho sentito e letto gli annunci … ma oggi a scuola ho visto solo vecchi insegnanti.

Gli anziani a lavorare ed i giovani a casa.

Del resto non è così che ora funziona nel mondo del “lavoro vero”?

C’erano tanti ragazzi e ragazze che chiedevano perché l’insegnante era cambiato e quello che avevano sempre avuto se ne era invece andato.

Oggi la classa verde, la classe rossa e la classe gialla, dove andavano Ali e Chen per imparare come si chiamano in italiano le cose che posano sul banco, sono rimaste con la porta chiusa.

Restavano aperte grazie agli “insegnanti in compresenza”.

28 agosto 2009

Cambiano le regole per diventare insegnanti

Presentate dal ministro Gelmini le nuove procedure per accedere all'insegnamento.
L'imposizione di un anno di Tirocinio Formativo Attivo si presenta come un tributo oneroso per gli aspiranti docenti.
Se si affermasse anche nel resto del mondo del lavoro l'idea che per essere assunti bisogna prima lavorare per un anno gratuitamente, in prova, senza alcuna garanzia della successiva assunzione, sarebbe una vera tragedia sociale.
Ogni anno il datore di lavoro potrebbe essere messo nella condizione di trovare un altro aspirante, ancora più disperato, disposto a lavorare gratuitamente per un altro anno nella speranza di "avere il posto".
A questo si aggiunge la considerazione che migliaia di precari della scuola sono in realtà "precari fissi" perché da anni insegnano con supplenze annuali.
Ora anche questi veterani della scuola si trovano davanti alla prospettiva dell'anno di "Tirocinio Formativo Attivo".

Cliccare qui per un approfondimento sul Tirocinio Formativo Attivo

Ditemi che sbaglio e che in Italia si ha ancora diritto ad una remunerazione a fronte di una prestazione di lavoro.

15 agosto 2009

Mamma a 14 anni

In coda alla cassa del supermercato incontro una giovanissima donna col velo.
Spinge il carrello ed una carrozzina blu con un bimbo di pochi mesi.
Elegante nel suo vaporoso abito verde smeraldo, ha scelto ogni accessorio con gusto, in modo che i colori paiono cantare insieme.
Ci guardiamo in cerca di una conferma.
Non oso rivolgerle per primo la parola.
Se mi sbagliassi sarebbe una gaffe imperdonabile. Un estraneo che rivolge parola ad una donna pakistana sposata potrebbe essere ritenuto sconveniente da qualche suo conterraneo lì presente.
- Professore!

Si. È lei: una ex allieva dell’anno scorso.
La ricordo perfettamente a scuola: vivace e sempre sorridente, attenta, ordinata, impegnata.
Una delle migliori allieve della sua classe.
Per questo all’esame di terza media meritava un otto senza regali, ma noi insegnanti preferimmo darle nove perché ci piaceva guardare avanti.
Sapevamo che la famiglia difficilmente avrebbe investito sui suoi studi e volevamo invece fare capire che sarebbe stato un bene per tutti se avesse potuto proseguire.
Maryam avrebbe potuto diventare un ottimo dottore o un eccellente avvocato.

- Di chi è questo bel bambino?
A volte mi capita di condividere la gioia di allieve che mi presentano con orgoglio un fratellino appena arrivato ad ampliare la famiglia. Vedo questi piccolini quando le mamme vengono a scuola per prendere “la bambina” più grande.
Questa volta temo di conoscere già la risposta.
- È mio!
Risponde con dolce prontezza mescolando orgoglio, pudore e persino timore del mio possibile stupore. Sono già pronto. Non la deluderò. Solo parole di festa e complimenti, come è incondizionatamente giusto e doveroso davanti al dono della vita.

- appena finita la scuola media i miei genitori mi hanno fatto tornare in Pakistan e mi hanno fatto sposare
Lo dice col suo solito sorriso sicuro. Ora è donna. Ora è mamma, a 14 anni.
“Mi hanno fatto”.
Tre parole che non volevo sentire ma che accetto perché le rivoluzioni più vere e profonde iniziano sempre con un sì piuttosto che con un no.
Forse anche la Madonna aveva 14 anni quando andò sposa.
Credo che prese marito per obbedienza e non per libero amore.
A Maryam non serve la ribellione: serve la forza della grande donna che ha dentro di sè.
Nella nostra scuola ha imparato a conoscere parole come giustizia, eguaglianza, libertà, diritto.
Non sarà più come prima.
Ha accettato, ma non chinerà la testa per sempre, me lo dicono quei suoi occhi orgogliosi e consapevoli.
Un passo alla volta.
Le chiedo:
- Ora resti in Italia ?
- Si.
Risponde senza esitazione. Suo fratello entrerà in prima media l’anno prossimo.
Mi spiega dove abita e la invito a venirci a trovare a scuola.
Il suo bambino è un nuovo italiano.
Ha una mamma nuova. Una mamma che non si vergogna di essere donna e che sa quanto vale.
Sono le mamme che cambiano la storia.
Piano piano,
Un passo alla volta.
Buona Festa della Madonna anche a te, buon Ferragosto, Maryam, fiera mamma a 14 anni.